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martedì 20 dicembre 2011

IL PAPA CHE RISCRISSE LA BIBBIA


di Marco Capurro


Sisto V (Felice Peretti, il cardinal Montaldo) fece in cinque anni un lavoro che ne avrebbe richiesto cinquanta. Costrinse squadre di uomini a lavorare giorno e notte per sistemare la cupola di San Pietro. Fece spostare l'obelisco, palmo a palmo, da centinaia di uomini e muli fino all'attuale posizione nella piazza. Costruì la Libreria Vaticana. Fece erigere un acquedotto che portasse l'acqua fino al centro di Roma. Si meritò ampiamente il soprannome "Il Turbine Consacrato". 


Insieme ad una titanica energia c'era però uno straordinario egotismo.
Egli affermò il suo potere temporale su principi e re. Quando Roberto Bellarmino, uno dei più strenui difensori del papato dall'epoca di Tommaso d'Aquino, suggerì nel suo libro "Controversie" che il papa aveva solo una giurisdizione indiretta sui reggenti del mondo temporale, Sisto lo censurò spietatamente.
Egli, dichiarò, poteva per qualsiasi motivo e comunque gli piacesse nominare o licenziare chiunque, compresi gli imperatori.
Censurò anche il teologo Vittorio per aver osato dire che era giusto disobbedire ad ingiusti ordini di un papa. Lui, Sisto V, mise all'indice entrambi i libri di questi due "rinnegati".

I cardinali della Congregazione dell'indice erano terrificati dal dover dire a sua Santità che entrambi gli autori citati (Bellarmino e Vittorio) basavano i loro scritti su innumerevoli documenti dottrinali di santi e studiosi cattolici. Il Conte Olivares, ambasciatore spagnolo a Roma, scrisse al re Filippo II° che i cardinali tenevano la bocca chiusa "per paura che Sisto potesse fargli sentire il duro sapore del suo temperamento e, forse, costringerli a mettere all'indice persino i santi stessi".

Sisto si comportò molto male soprattutto con il gesuita Bellarmino, che aveva cooperato con lui nell'edizione dell'opera completa di Sant'Ambrogio, nel corso della quale il papa aveva ogni volta stravolto il giudizio del suo collaboratore.

Lo stesso atteggiamento il papa lo tenne verso la Bibbia ed i risultati furono drammatici.
La versione latina della Bibbia, la Vulgata, era opera di San Gerolamo nel quarto secolo ed aveva avuto un posto significativo nel corso del Medioevo.
 Il Concilio di trento (1546) aveva stabilito che la "Vulgata" era la versione autentica della Bibbia ed essa sola doveva essere usata nei sermoni, discussioni o letture.
Purtroppo il lavoro di riporto dei copisti aveva prodotto molti errori e la stampa moltiplicò il numero degli sbagli. Con la Riforma i Protestanti produssero la loro personale versione della Bibbia e diventava imperativo che anche i cattolici potessero fruire di un testo affidabile della Vulgata in tutte le discussioni.
Dopo tre anni di pontificato, nel 1588, gli venne presentato (a Sisto) il testo finale predisposto dalla commissione di studiosi a cui aveva dato l'incarico. Secondo il pontefice c'era troppo lavoro di ricerca, troppe variabili interpretative. Il papa scacciò il capo della Commissione, il cardinal Carafa, fuori dalla stanza urlando che avrebbe provveduto lui personalmente.
In una Bolla di 300 parole dichiarò che lui, il papa, era l'unico soggetto in grado di produrre una "autentica Bibbia" per la Chiesa.

E lo fece.
Lavorando giorno e notte (soffriva d'insonnia), operando su di un testo popolare e provvedendo ad aggiunte personali dove gli sembrava fosse opportuno, completò l'opera in circa diciotto mesi. Cambiò radicalmente il sistema di riferimenti. Cambiò i capitoli, che erano stati strutturati abilmente da Roberto Stefano nel 1555 ed erano universalmente adottati. Dimenticò addirittura interi versi e cambiò i titoli dei Salmi.


Tutte le vecchie bibbie e tutti i testi scolastici divennero di colpo obsoleti.
Nel 1590 gli furono presentate le prime copie "in folio". "Splendido" disse il papa, finché non si accorse delle centinaia di errori di stampa. Per non perdere tempo provvide personalmente alla correzione delle bozze (ci mise sei mesi) passandole poi alla stampa, mentre la sua Bolla "Aeternus ille" era già pronta da tempo e recitava autoritativamente: "Nella pienezza del potere Apostolico, Noi dichiariamo e decretiamo che questa edizione....approvata per l'autorità conferitaCi da Dio, deve essere ricevuta e tenuta come vera, legittima, autentica, ed inquestionabile in tutte le discussioni, letture, preghiere e spiegazioni pubbliche e private". A nessuno era permesso, editore o libraio, di deviare di una virgola da questa finale ed autentica versione della Bibbia latina. Chiunque contravvenisse alla Bolla papale doveva ritenersi automaticamente scomunicato e solo il papa poteva assolverlo. Erano previste anche punizioni materiali e temporali.
Verso la metà di aprile furono distribuite copie a cardinali ed ambasciatori. Quattro mesi dopo il papa era morto.

Papa Gregorio XIV
Il papa successivo morì dopo dodici giorni di pontificato (Urbano VII). Toccò quindi a Gregorio XIV cercare di porre rimedio alla questione della Bibbia. Ma come fare? Una Bibbia era stata imposta al mondo cattolico con l'intero peso del potere papale, ma era piena di errori. Il mondo accademico era in subbuglio ed i Protestanti si divertivano un sacco per l'intera faccenda. Il cardinal Bellarmino , rientrato a Roma dall'estero e personalmente sollevato per la morte di Sisto V, che l'aveva messo all'indice, suggerì a Gregorio XIV, invece di proibire la Bibbia, di farla correggere, ove fosse possibile, cercando di recuperare tutte le copie messe in circolazione e sostenendo che tutti gli errori derivavano "da sbagli degli stampatori e di altre persone (il riferimento a Sisto è inequivocabile). Un'intera truppa di studiosi si sistemò in un'apposito edificio sulle colline Sabine, a 30 km da Roma, e lavorò bestialmente per cercare di identificare e rettificare tutti gli errori commessi da Sisto.


Alla fine del 1592, sotto il papato di Clemente VIII, il "nuovo testo" venne stampato e distribuito immediatamente con una lunga prefazione che spiegava come Sisto, accortosi degli errori, avesse deciso di dare corso ad una nuova riedizione, la quale, in seguito alla sua morte, era stata portata a termine dai suoi successori. Giocando sull'equivoco Bellarmino suggerì anche che la nuova versione (passibile anch'essa di molti errori, che infatti ci sono) non dovesse obbligatoriamente essere l'unica permessa e/o accettata.
I commenti degli studiosi su questa serie di menzogne e falsificazioni miranti a nascondere gli errori e la supponenza del papato, furono e sono pesanti.
Thomas James, studioso e libraio londinese, che potè esaminare e verificare il contenuto di entrambe le versioni, scrisse nel 1611:"Ci troviamo ad avere due papi uno contro l'altro. Sisto contro Clemente , Clemente contro Sisto, litigando, scrivendo e discutendo sulla bibbia di Gerolamo...per quanto concerne i cattolici la Bibbia è come un naso di cera che i papi modellano a seconda di quello che conviene loro...se un papa dicesse che quello che è bianco è nero e quello che è nero bianco nessun cattolico oserebbe contraddirlo."

L'affare del papa che riscrisse la Bibbia dimostra una volta ancora che la dottrina che il papa non può sbagliare è di per se erronea, conduce a creare proprie personali versioni della Storia e costringe anche uomini moralmente corretti, come Bellarmino, a mentire in favore della Chiesa.
Ma Bellarmino invece di essere ricordato per aver messo in atto una discreta "cover up" a favore di Sisto V, è noto soprattutto per aver distrutto vita e carriera di uno straordinario laico, Galileo.



        Di Marco Capurro
        tratto da: VENTI SECOLI DI PAPATO


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