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giovedì 5 gennaio 2012

FESTE DI PURIFICAZIONE

Dai Lupercalia dell’antica Roma alla Febronia di Nisibi, le feste ante litteram della Candelora e di San Valentino

di Maria Stelladoro



Per quanto riguarda la risemantizzazione cristiana di culti pagani, la ricorrenza di Febronia può essere considerata un continuum dei Lupercalia, feste catartiche nell’antica Roma pagana, come attesta il fatto che anticamente la santa era celebrata a febbraio[1]. Le fonti antiche sia quelle pagane che quelle cristiane (tra cui: Agostino, Cassio Dione, Cicerone, Dionisio d’Alicarnasso, Giovenale, Livio, Ovidio, papa Gelasio I, Plutarco, Svetonio, Valerio Massimo, Varrone e Virgilio)[2] ci informano delle festività pagane dei Lupercalia e di quelle connesse a Giunone purificata, poi soppiantata dalla Candelora che sostituisce la purificazione della Vergine Maria a quella di Giunone sempre nel mese di Febbraio. Quindi il tema della purificazione assorbe sia culti pagani che cristiani che si intersecano a vicenda prima di vedere il trionfo della cristianità.

Anticamente, ma anche oggi in alcuni calendari, la ricorrenza di Febronia ricadeva, come si diceva, il 14 febbraio. Ciò in quanto si credeva ad una mutuazione del culto della v. e m. cristiana da preesistenti festività pagane alquanto famose sia nell’antica civiltà etrusca che a Roma e che ricorrevano nel mese di Febbraio (=Februarius deriverebbe da februare, cioè purificare[3]). Infatti, il termine latino februarius è collegato a februa, che erano costituiti da panni o focacce di farro o fronde di un albero o qualunque altra cosa con cui fosse possibile aspergere il sangue delle vittime sacrificali (=panni), purificare le case (=focacce salate), adornare le tempie dei sacerdoti (=fronde)[4]. Legami della festività di Febronia si vogliono vedere anche con l’attuale festa di san Valentino, originariamente festa purificatoria di Giunone Februa, poi ribattezzata come festa di santa Febronia e differita al 25 giugno. Le feste Lupercalia erano celebrate il 14-15 febbraio per commemorare il ritrovamento dei gemelli sotto il fico del Palatino fino al 486, quando il futuro papa Gelasio le trasformò nella festa di san Valentino[5].

Non meno importanti erano le Quirinalia (=17 febbraio), ovvero le celebrazioni al dio Qurino, che altri non è che Romolo, nella sua vita dopo la morte. Al contrario del significato del suo nome (lancia) era il dio della pace e faceva parte della triade divina di Roma: Giove, Marte e Quirino[6].

A introdurre le due festività una lunghissima cerimonia[7], che iniziava con le onoranze rese alle tombe dei propri cari e con le invocazioni ai Lari[8], cui seguivano i Lupercali, in ricordo della lupa che aveva nutrito i due gemelli Romolo e Remo. Il fine di questa festa assai sfrenata era quello di propiziare la fecondità. Essa si strutturava in tre momenti: i Quirinali in onore del dio Quirino; i Fornaciari, in onore della dea del pane; ed infine i Terminali in onore del dio Termine, che proteggeva i confini del territorio romano. Duravano per tutto il mese di Febbraio i festeggiamenti per prepararsi a passare alla rifondazione dell’anno nuovo nel mese di Marzo.

Nelle calende di febbraio i Romani erano soliti illuminare l’Urbe per tutta la notte con fiaccole e candele, in onore della dea Februa, madre di Marte, dio della guerra, e invocavano il figlio per la vittoria contro i nemici.

Ma per i cristiani il mese di Febbraio era dedicato anche ad una festività purificatrice: la Candelora, cioè il rito di purificazione di Maria che, come tutte le donne ebree, dopo aver partorito Gesù, si sottopose al prescritto periodo di isolamento di quaranta giorni, per precauzioni igieniche e pratica religiosa[9].

RISEMANTIZZAZIONE[10]CRISTIANA DI CULTI PAGANI




Il culto di s. Febronia pare essere una risemantizzazione di preesistenti culti pagani. Il suo nome fu associato infatti a quello del mese di Febbraio ed etimologicamente anche ai nomi Februus, Febris, Februalia, Februare. Cosa rappresentavano questi termini in epoca pagana? Che valore assunsero in epoca cristiana? Secondo quale procedimento e con quale accezione semantica, cultuale, culturale e devozionale furono associati a Febronia? Febris sembra derivare dal dio etrusco Februus, che era il dio della morte e della purificazione. Nella mitologia romana tale divinità avrebbe assunto il nome di Febris e sarebbe stata associata alla guarigione dalla malaria. I Februalia, le festività tributate a questo numen, coincidevano con i Lupercalia, dedicati sia al dio Fauno sia alla Febris che era una divinità malefica particolarmente celebrata con i riti dei Lupercalia nel mese di Febbraio, culminanti il 14. In epoca cristiana tale data divenne in un primo momento quella dell’antica festa di santa Febronia, che poi fu spostata al 25 giugno (dies natalis della santa di Nisibi), mentre il 14 febbraio divenne la festa di san Valentino. Nell’antica Roma a Febris erano stati dedicati tre santuari: quello più antico era un tempio arcaico sul Palatino. Gli altri due erano, uno sull’Esquilino, e l’altro sulla sommità del Vicus Longus (=Tempio di Febris)[11]La festa romana dei Lupercali (=Lupercalia) si celebrava nei giorni nefasti di febbraio, considerato un mese purificatorio[12], cioè il 15 febbraio ed erano in onore del dio Fauno-Luperco (=Lupercus), in quanto protettore degli ovini e dei caprini dall’attacco dei lupi.Plutarco fornisce una puntuale descrizione dei Lupercalia[13] e informa che i Lupercalia erano celebrati nella grotta chiamata Lupercale, sul Palatino dove Romolo e Remo sarebbero cresciuti allattati dalla mitica lupa. Stando a Plutarco[14] sembra trattarsi di riti di purificazione. La festività si svolgeva il 15 febbraio perché questo mese era il culmine del periodo invernale nel quale i lupi, affamati, si avvicinavano agli ovili minacciandone le greggi. Per Dionigi di Alicarnasso[15] i Lupercalia ricordavano il miracoloso allattamento dei due gemelli Romolo e Remo da parte di una lupa che da poco aveva partorito. Per Dionisio di Alicarnasso[16]e Plutarco[17], i Lupercali potrebbero essere stati istituiti da Evandro, in ricordo di un rito arcade, che consisteva in una corsa a piedi degli abitanti del Palatino (conosciuto pure con il nome di Pallanzio, mutuato dalla città di Pallanteo nell’Arcadia), senza abiti e con le pudenda coperte dalle pelli degli animali sacrificati. Era un rito in onore di Pan Liceo, cioè del dio dei lupi.Per Ovidio[18] sotto Romolo, visto il proliferare di donne sterili, sarebbero state istituite delle processioni di uomini e donne supplici fino al bosco sacro di Giunone, ubicato ai piedi dell’Esquilino. La dea avrebbe risposto che le donne dovevano essere penetrate da un caprone sacro, la qual cosa cosa avrebbe suscitato profondo sdegno e sgomento nelle donne.

Fortunatamente un augure etrusco diede all’oracolo la corretta interpretazione: dopo avere sacrificato alla dea un sacro caprone, ne tagliò la sua pelle a strisce con le quali colpì la schiena delle donne che, finalmente, dopo dieci mesi lunari vinsero la sterilità e partorirono. Quale l’etimo del rituale dei Lupercalia? Incerta è l’etimologia delle seguenti parole Lupercalia, Luperci e Lupercus, anche se hanno in comune la stessa base, cioè lupus (=lupo). Varie sono le teorie in proposito: per un gruppo di studiosi, quali Ludwig Deubner[19], Ludwig Preller[20], Georg Wissowa[21] e pare trattarsi di un composto formato dalle parole lupus e arcere (=cacciare: da qui il senso di caccia al lupo); per un altro gruppo di studiosi, fra cui Henri Jordan[22], Theodor Mommsen[23] e Walter Otto[24], si potrebbe pensare ad un derivato sul tipo della parola latina noverca (=matrigna). Ma, in questo caso, cosa c’è nei Lupercalia che legittimi il riferimento ai lupi? Nulla pare esserci! Lo studioso Émile Benveniste[25] vede nella partizione del fonema noverca riferimenti al gr. nearós e all’arm. nor, cosa che rende impossibile il confronto con Lupercus. Per contro, lo studiodo J. S. Th. Hanssen[26] evidenzia come il termine Lupercalia sia una retroformazione dalla parola luperca, un diminutivo di lupa, con una possibile influenza del nome di famiglia Mamerci. Quale allora l’origine del fonema? Joachim Gruber[27] ne accosta l’origine ad un antico composto ipotetico *lupo-sequor, che legittima la conseguente caccia per liberarsi dell’inseguimento dei lupi. Secondo lo studioso Karl Kerényi[28] il carattere dei Luperci farebbe supporre la giustapposizione di due rappresentazioni antitetiche: da un lato quella del lupo, di origine e provenienza dall’Europa settentrionale; dall’altro lato quella del capro, di epoca successiva proveniente dall’Europa meridionale. Andreas Alföldi[29] elabora la tesi secondo la quale i Luperci sarebbero una reminiscenza del Männerbund che avrebbe fondato Roma. Invece Dumézil sostiene che i Luperci simboleggiavano gli spiriti divini della natura selvaggia subordinati a Fauno. Ciò perché nel giorno dei Lupercalia l’ordine umano, regolato dalle leggi, si interrompeva per l’irruzione, nella comunità, del caos delle origini, la cui abituale dimora era la selva. Per questa ragione, secondo Dumézil, i Lupercali avrebbero rivestito in origine anche la funzione di conferma della regalità, come sembra comprovare Cesare nel tentativo di restaurare a Roma la monarchia. Che cosa aveva fatto Cesare in relazione ai Lupercalia? Aveva istituito in suo onore un terzo gruppo di Luperci cioè i Luperci Iulii[30] e inscenò un tentativo di incoronazione durante la celebrazione dei Lupercali dell’anno 44 a.C., quando si fece offrire una corona intrecciata d’alloro da Marco Antonio che era allora uno dei Luperci. Ma per la negativa reazione del pubblico, Cesare rifiutò la corona per farla portare, come offerta votiva, nel tempio di Giove in Campidoglio[31].Come si svolgeva la festa dei Lupercalia? Era celebrata da giovani sacerdoti (i Luperci), seminudi, cinti sulle anche da una pelle di capra (ricavata da vittime sacrificate nel Lupercale), con il grasso spalmato sulle membra e con una maschera di fango sul viso. Un unico magister li dirigeva. I Luperci erano divisi in due gruppi di dodici membri ciascuno, l’uno chiamato dei Luperci Fabiani (dei Fabii), l’altro dei Luperci Quinziali (Quinctiales, dei Quinctii). Ad essi, per un breve lasso di tempo, Cesare, come si diceva, affiancò un terzo gruppo, istituito in suo onore, quello dei Luperci Iulii[32]. Plutarco informa che durante i Lupercalia, nella grotta del Lupercale si assisteva all’iniziazione di due nuovi Luperci: uno per i Luperci Fabiani e uno per i Luperci Quinziali[33]. Dopo il sacrificio delle capre[34] e, pare, anche di un cane, i due nuovi adepti venivano segnati sulla fronte intingendo il coltello sacrificale nel sangue delle capre appena sacrificate. Poi il sangue era asciugato con lana bianca intinta nel latte di capra, che doveva suscitare l’ilarità dei due iniziati. Quale l’interpretazione data a questa cerimonia? Essa veniva considerata come un atto di morte e di rinascita rituale[35], nel quale la segnatura con il sangue rappresentava la morte della condizione profana e la pulitura con il latte (nutrimento essenziale per il neonato) e la risata degli iniziati simboleggiavano la gioia della rinascita alla condizione sacerdotale. Così i due adepti ormai mondi potevano indossare le pelli delle capre sacrificate, dalle quali venivano tagliate delle strisce, le februa o amiculum Iunonis, usati come fruste. Dopo un pasto abbondante, a conclusione della cerimonia, tutti i Luperci e i due nuovi iniziati, correvano attorno al colle saltando e colpendo con queste fruste sia il suolo, al fine di alimentarne la fertilità sia chiunque incontrassero, particolarmente le donne al fine di scongiurarne la sterilità[36]. Queste ultime proprio per ottenere la fecondità inizialmente offrivano volontariamente il ventre ai colpi di frusta ma al tempo di Giovenale, tendevano invece solo le palme delle mani[37]. I Lupercalia furono una delle ultime feste romane abolite dai cristiani. Nella sua lettera del 495, che in effetti costituisce un vero e proprio trattato confutatorio, papa Gelasio I mentre informava che, nel corso del suo pontificato (fra il 492 e il 496)[38], a Roma si celebravano ancora i Lupercali, nonostante il proliferare del cristianesimo, rimproverava pure Andromaco, che allora era princeps Senatus, della partecipazione dei cristiani alla festa dei Lupercalia. Furono aboliti quell’anno, come riteneva il cardinale Cesare Baronio[39], o sopravvissero ancora? Quale il significato di tale festività in un periodo cristiano-pagano? Lo studioso William Green[40] era del parere che ne fosse andato perduto il senso religioso anche perché era ormai trascorso un secolo dalla proibizione dei culti pagani voluta legalmente da Teodosio I e che pertanto ormai avesse un carattere più che altro folklorico. Nel sec. VII d. C. venne istituita, pare in sua vece, la festa cristiana della Candelora e nel VI secolo Giustiniano ne anticipò la ricorrenza al 2 febbraio. Giacomo Boni in occasione del primo anniversario della marcia su Roma, mise in programma proprio le corse dei Lupercalia, a ricordo delle festività pagane romane[41]. La Candelora è celebrata anche nella tradizione pagana e neopagana, trattandosi proprio di una festività in sostituzione di un’altra preesistente. Dai Celti[42] era chiamata Imbolc e rappresentava il momento di transizione dall’inverno alla primavera[43] ovvero il passaggio dal momento di massimo buio e freddo a quello di risveglio della luce[44]. Nel mondo romano la dea Februa (Giunone) era celebrata alle calende di febbraio[45]. Nel neopaganesimo Imbolc è uno degli otto sabba principali strettamente connesso alla purificazione e ai riti propiziatori per la fertilità non solo della terra.

UN APPUNTO SULLA CANDELORA



Per amore di completezza ricordiamo che il termine Candelora è un fonema popolare, che deriverebbe dal latino tardo candelorum (per candelaram), cioè benedizione delle candele. È attribuito dai cristiani alla festa celebrata il 2 di febbraio in ricordo della la purificazione di Maria al tempio di Gerusalemme. Infatti, il 2 febbraio la Chiesa cattolica celebra la presentazione al Tempio di Gesù (Lc 2,22-39), conosciuta dalla pia devozione popolare come festa della Candelora, in quanto nel corso di tale solennità cristiana si è soliti brandire delle candele, simbolo di Cristo, cioè della luce venuta dal cielo attraverso il grembo di una donna per illuminare gli uomini di virtù. Tale fu la definizione data dal vecchio Simeone al bambino Gesù al momento della sua presentazione al Tempio di Gerusalemme, adempimento prescritto dalla Legge giudaica ai primogeniti maschi. La festa della Candelora è altrimenti detta anche Festa della Purificazione di Maria e in tema di purificazione segna un continuum con la preesistente festività pagana dei Lupercali collegati proprio per questo al mese di Febbraio, come abbiamo visto. Perché la Purificazione di Maria? Ciò si ricollega all’usanza ebraica, secondo la quale una donna era considerata impura per un periodo di 40 giorni dopo il parto di un figlio maschio e come tale le era imposto di recarsi al Tempio per purificarsi.

Anticamente, però, questa festa veniva celebrata il 14 febbraio, cioè 40 giorni dopo l’Epifania. Come mai? La prima testimonianza al riguardo ci è data da Egeria[46] nel cap. 26 del suo Itinerarium Egeriae. In questo contesto la denominazione di Candelora, data alla festa dalla tradizione popolare, derivava dal fatto che il rito del Lucernare, (di cui ci informa Egeria: «Si accendono tutte le lampade e i ceri, facendo così una luce grandissima», cfr. Itinerarium 24, 4), assomigliasse alle antiche fiaccolate rituali che si facevano nei Lupercali. In effetti l’accostamento più significativo tra le due festività è implicito nella comune idea della purificazione[47].

Quali le origini di tale consuetudine? Sembrano preesistenti e riscontrabili, in diverse forme ma tutte con la stessa valenza, in varie parti d’Europa. In italia, a Roma, risaliamo ai Lupercalia[48] che si celebravano alle Idi di febbraio, che, per i Romani, era l’ultimo mese dell’anno e servivano a purificarsi prima dell’avvento dell’anno nuovo e a propiziarne la fertilità. Un altro momento particolare della festa era la februatio, la purificazione della città, in cui le donne giravano per le strade con ceri e fiaccole accese, simbolo di luce. Nel Lunario Toscano del 1805 si ritrova la consuetudine della benedizione delle candele, distribuite ai fedeli. Tale funzione, celebrata di mattina, fu istituita dalla Chiesa per abolire l’usanza dei gentili, che in tale giorno brandivano per la città fiaccole accese in onore della dea Februa. Così cambiano in cristiano un rito pagano. Ricordiamo infatti che i gentili erano pagani e che la dea Februa era Giunone purificata (Iunio Februata), celebrata a Roma alle calende di febbraio. Quindi Maria era la risemantizzazione cristiana della pagana Giunone purificata. Per questo tale solennità cristiana fu fatta coincidere con la festa pagana dedicata a Giunone e ai Lupercali per poi sostituirla del tutto. La consuetudine di benedire le candele pare invece riportarci in Francia.

Quando si celebravano le Februalia? Era consuetudine celebrarle il 28 febbraio, cioè l’ultimo giorno del mese, ma già dal primo, si faceva una processione attorno alle mura della città (Amburbium), ripetuta o in caso di grave minaccia o per ringraziare gli dei di uno scampato pericolo. Queste processioni erano note anche come circumambulazioni che spesso si facevano anche in spazi angusti o anche al chiuso con oggetti propiziatori, al fine di scongiurare un pericolo. Si può altresì trovare la purificazione anche con il ricordo dei defunti, ma in maniera molto meno complessa rispetto alla nostra attuale ricorrenza del due novembre: dal 13 febbraio, per la durata di nove giorni nell’antica Roma era consuetudine adornare le stele funerarie o i sarcofagi dei defunti con ghirlande di fiori; sulle tombe si svolgevano anche delle libagioni, invece nella propria dimora si era soliti celebrare un banchetto in loro onore[49].

Quale il rituale della Candelora? Esso a Roma consisteva in una processione attraverso il Foro fino a Santa Maria Maggiore, con la benedizione dei ceri, simbolo del battesimo purificatore dal peccato originale e delle acque del Tevere. Nel corso dei secoli, poi, fu la confraternita della chiesa di Santa Maria dell’Orto, in Trastevere, ad occuparsi della Candelora. Fin dal sec. XV la mattina del 2 febbraio tutti si presentavano sulle proprie imbarcazioni per la benedizione solenne e la consegna dei ceri. Solo in caso di pericolo gli equipaggi potevano accenderli, come segno di devozione alla Madonna e come richiesta d’aiuto.

A Montevergine, in Irpinia, la festa della Candelora è celebrata per onorare la miracolosa Madonna Nera, più conosciuta dalla pia devozione popolare come mamma Schiavona, ma tale ricorrenza richiama anche moltissimi omosessuali vestiti da donna con vistosi abiti variopinti in colori assai vivaci, che cantano e ballano. Si tratta di un antichissimo rito che affonda le sue origini nei culti pagani: vuole la credenza popolare infatti che tali omossessuali, vestiti da donna, fossero figli prediletti della dea Cibele[50] e che un tempio fosse a lei dedicato proprio nei dintorni dell’attuale santuario. La leggenda assume toni raccappricianti in quanto si crede che, per raggiungere la vera unione con la dea, i giovani prima si eviravano e poi indossavano abiti femminili policromi al fine di richiamare le note cromatiche della bella stagione incipiente. Non a caso Febris (o Februo), rappresentava nell’antica Roma, la personificazione divina dei riti propiziatori di purificazione che si celebravano in febbraio, il mese dei morti: è sempre evidente l’antinomia vita-morte e il trionfo della vita sulla morte per intercessione divina. Invece nella tarda antichità si identifica Februo con il Dis Pater, cioè con il dio latino dei morti. La divinità Febris identifica le malattie febbrili. Per propiziarsi il numen e per placare le sue ire gli fu eretto un tempio sull’Esquilino, nel quale venivano sepolti gli schiavi e i cittadini meno abbienti; un altro tempio gli fu eretto nella valle del Quirinale, considerato un posto malsano.

Nel Veneto, in occasione della Candelora si festeggiavano le Marie, una festa connessa al rito dei matrimoni collettivi. E infatti è proprio una reminiscenza dei riti matrimoniali collettivi tipici delle antiche popolazioni venete, che a Padova si invocava Giunone Salvatrice (Iuno Sospita), ovvero un aspetto di Reitia, simile alla Fortuna.

In alcune località (come ad es.: Aosta, Putignano, Urbiano di Mompantero) con la Candelora si celebra il ritorno della primavera con riti in cui l’orso simboleggia le forze della natura che, come lui, dopo il letargo invernale si risvegliano.

Maria Stelladoro

VAI A RECENSIONE LIBRO SU S. FEBRONIA DI MARIA STELLADORO

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NOTE
[1] Per le relazioni fra la festa di Febronia e il mese di Febbraio si veda anche: www.amedit.it a cura di Giuseppe Maggiore.
[2] Agostino, De civitate Dei, ed. B. Dombart-A. Kalb, Turnhout 1955 (CCSL, 47-48); Cassio Dione, Storia Romana, ed. von Otto Veh. I-V, Zurich- München 1985-1987, spec. III, Zurich- München 1986; Cicerone, De natura deorum, III, ed. A. Stanley Pease, Cambridge 1955; Dionisio di Alicarnasso, Antichità romane, I, 79, 61 [=Antiquitatum romanorum quae supersunt, ed. C. Jacoby I-IV + Suppl.-Indices, Stuttgart, Teubner 1967. Bibliotheca Scriptorum Graecorum et Romanorum]; Gelasio I, papa, Adversus Andromachum senatorem et caeteros Romanos qui Lupercalia secundum morem pristinum colenda constituunt [Gelasio, Lettre contre les Lupercales et dix-huit messes du Sacramentaire Léonien, ed. G. Pomarès, Paris 1959 (SCh, 65); Giovenale, Satire, II, 42, ed. U. Knocke, München 1950; Plutarco, Vite parallele: Cesare, 61, ed. K. Ziegler, Zürich- München 1980; Id., Vite parallele: Romolo, edd. R. Flacelière-E. Chambry-M. Juneaux, Paris 1957 (CUF); Publio Ovidio Nasone, Fasti, II, ed. R. Schilling, Paris 1993 (CUF); Svetonio, Vita di Cesare, ed. H. Ailloud, I, Paris 1954 (CUF); Tito Livio, Storia di Roma, edd. R. Conway-C.F. Walters-S.K. Johnson-A. H. McDonald-R.M. Ogilvie, Oxford 1919-1974 (libri 1-35); Valerio Massimo, Factorum et dictorium memorabilium libri, II, ed. P. Constant, Paris 1935 (CUF); Varrone, De Lingua latina, 5, 54 ed. H. Dahlmann-G. Calboli-P. Vozza; Virgilio, Eneide, VIII, 342-344, ed. F.Formigari. I testi classici, che citeremo, rimandano alle edizioni sopra segnalate.
[3] Infatti, il mese di Febbraio era un tempo dedicato al dio Februo/Februus (=purificatore) e alla derivazione del suo femminile, Februa: due divinità piuttosto sconosciute ai più. Per questo motivo tale mese era dedicato con sacrifici espiatori a Giunone Februa sospita (=la Salvatrice), Madre Regina e februata (=purificata). Seguivano le feste Lupercalia (=15 Febbraio), dedicate ad Acca Larentia (= 23 dicembre), cioè la Lupa o Luperca di Romolo e Remo, la dea del grano e dal dio Faustolo Luperco, protettore delle greggi contro i lupi.
[4] Ecco la purificazione riportata da Ovidio, Fasti 2, 19-24, 31-32ss. nella februatio: «Gli antenati romani dissero Februae le espiazioni: e ancora molti indizi confermano tal senso della parola. I pontefici chiedono al re e al flamine le lane che nella lingua degli antichi erano dette Februae. Gli ingredienti purificatori, il farro tostato e i granelli di sale, che il littore prende nelle case prEstabilite, si dicono anch’essi februae. [...] Da ciò il nome del mese, perché i Luperci con strisce di cuoio percorrono tutta la città, e ciò considerano rito di purificazione».
[5] Holleman, Pope Gelasius I.
[6] Cioè: Jupiter-Mars-Quirinus, dove Giove era la divinità dei sacerdoti, Marte dei guerrieri e Quirino di agricoltori, commercianti e artigiani. Il 23, venivano ringraziate con corone di fiori e focacce di grano, le immobili pietre di confine dei campi (=termini), presiedute dall’antico dio Terminio (Terminus) che più tardi fu associato a Giove.
[7] Cioè i nove giorni delle feste Parentalia.
[8] Cioè gli dei che erano protettori della famiglia e della casa.
[9] Ecco l’usanza ebraica desunta dal Levitico12,2-4: «Quando una donna sarà rimasta incinta e darà alla luce un maschio, sarà immonda per sette giorni; sarà immonda come nel tempo delle sue regole. L’ottavo giorno si circonciderà il bambino. Poi essa resterà ancora trentatré giorni a purificarsi dal suo sangue; non toccherà alcuna cosa santa e non entrerà nel santuario, finché non siano compiuti i giorni della sua purificazione».
[10] Cfr. pure Stelladoro, Agata, p. 10 e n. 6.
[11] Cfr. Agostino, De Civitate Dei III, 25; Cicerone, De natura deorum, III, 63; Valerio Massimo, Factorum et dictorum memorabilium libri, II,5,6.
[12] Nelle sue Vite parallele: Vita di Romolo, 21, 4-10.
[13] Nelle sue Vite parallele: Vita di Romolo, 21, 4-10; Vita di Cesare, 61.
[14] Nelle sue Vite parallele: Vita di Romolo, 21, 4-10.
[15] Cfr. Dionisio di Alicarnaso, Antichità romane, I, 79, 6.
[16] Cfr. Dionisio di Alicarnaso, Antichità romane, I, 80, 1-3.
[17] Nelle sue Vite parallele: Vita di Romolo, 21, 4-10.
[18] Ovidio, Fasti, II, 425-452.
[19] Deubner, Lupercalia, pp. 481-508. Cfr. Carandini-Bruno, La casa; Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Puech, Storia delle religioni, II: La religione romana, a cura di Raymond Bloch e Le religioni orientali nell’impero romano a cura di Robert Turcan; Quilici, Roma. Utili anche i siti: http://www.imperium-romanum.it. e blog.archeologia.com./…/scoperta-lupercale-lupercalia-roma.
[20] Preller, Römische, ed. curata da Henri Jordan. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[21] Wissowa, Religion, p. 209. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[22] Preller, Römische, ed. curata da Henri Jordan. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[23] Mommsen, Romany, 1868. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[24] Otto, Faunus, col. 2064. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[25] Benveniste, Origines, I, 1935, p. 29: crede che noverca vada ripartito come *nou-er+ca-.
[26] Hanssen, Latin, pp. 98-99. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[27] Gruber, Glotta 39, 1961, pp. 273-276. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[28] Kerényi, Wolf, pp. 309-317 (rist. in Niobe. Zurigo, 1949, pp. 136-147). Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[29] Alföldi, Die trojanischen, p. 24. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[30] Cfr.Svetonio, Vita di Cesare, 76; Cassio Dione. Storia romana, 44, 6, 2.  45, 30, 2.
[31] Cfr. Plutarco, Cesare, 61, 2-3. Secondo Dumézil, il gesto di Marco Antonio, che esce nudo dal gruppo dei Lupercali e balza sui rostri per incoronare Cesare, potrebbe rappresentare il revival di una scena antica ma ancora sempre viva nella memoria popolare.
[32] Quale l’Estrazione sociale dei membri di ciascun gruppo? Per lo studioso Dumézil è probabile che in origine i due gruppi fossero formati dai membri delle gentes dalle quali prendevano il nome (per l’appunto i Fabii e i Quinctii). Un indizio probante di ciò potrebbe essere, per Mommsen, il fatto che il nome Kaeso si trovi soltanto tra i membri di quelle due gentes e sarebbe collegato al februis caedere, cioè al tagliare (caedere) le strisce (februa) della pelle delle sacre capre sacrificate. Tito Livio (Storia di Roma, V, 46, 2) informa che la gens Fabia era solita celebrare un sacrificio sul colle Quirinale; continua (V, 52, 3) dicendo che Caio Fabio andò a compiere il rito della gens Fabia sul colle Quirinale. Ciò sembra un indizio probante ad alimentare la convenzione che i Luperci Fabiani fossero originari del Quirinale, mentre i Quinziali del Palatino. Contro tale ipotesi, Dumézil ritiene che i Lupercalia erano strettamente connessi soltanto al colle Palatino e non anche al Quirinale. In età repubblicana i Luperci erano scelti fra i giovani patrizi ma da Augusto in poi ne fecero parte solo i giovani dell’ordine equestre. Rüpke, La religione, p. 196. Utili al riguardo anche: Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione. Quilici, Roma.
[33] Nelle sue Vite parallele: Vita di Romolo, 21, 4-10.
[34] Non sappiamo quante fossero né di quale genere, cioè se maschile o femminile Lo studioso Quilici è del parere che si trattasse di un capro, cfr, Quilici, Roma.
[35] Ma anche per il cristiano, il giorno della morte rappresenta il dies natalis, in quanto segna la nascita alla vita eterna, cfr. Stelladoro, Agata, p. 12 n. 12.
[36] Cosa rappresentava questa corsa attorno al colle? Lo studioso Quilici è del parere che tale corsa simboleggiasse un magico recinto invisibile nato dagli scongiuri dei primitivi pastori al fine di proteggere le loro greggi dall’attacco dei lupi e analoga funzione aveva l’offerta del capro al fine appunto di placare la fama dei lupi assalitori. È da credere che questa fosse una pratica tipica del solo Palatino? Non sembra! Infatti si pensa che in epoca preurbana fosse diffusa ovunque si praticasse l’allevamento ovino.
[37] Cfr. Giovenale, Satire, II, 142. Così venivano rappresentati sia i capri che i lupi: erano capri nel momento in cui trasmettevano, sia alla terra sia alle donne, attraverso la frusta, la fertilità dell’animale reputato sessualmente potente; erano lupi quando correvano attorno al Palatino.
[38] Cfr. Gelasio I papa: Adversus Andromachum senatorem et caeteros Romanos qui Lupercalia secundum morem pristinum colenda constituunt. Al riguardo: Holleman, Pope Gelasius I. Per la lettera del papa: Gelasio, Lettre contre les Lupercales et dix-huit messes du Sacramentaire Léonien, ed. G. Pomarès, Paris 1959 (SCh, 65).
[39] Baronio, Annales, IV-VII, p. 616.
[40] Green, The Lupercalia, pp. 60-69. Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[41] Tea, Giacomo Boni, II, Milano 1932, pp. 557-558.
[42] Percivaldi, I Celti.
[43] Caffarello, Dizionario.
[44] Markale, Il druidismo, trad. di Fiorillo, ed. a cura di  De Turris, p. 74.
[45] Ricordiamo che nel calendario romano i mesi seguivano il ciclo lunare. Il primo giorno di ogni mese corrispondeva al novilunio (cioè alla luna nuova) ed era chiamato calende, da qui il nome calendario.
[46] Egeria (altrimenti detta anche Eteria) fu una scrittrice romana (secc. IV-V) autrice di un Itinerarium in cui racconta il suo viaggio nei luoghi santi della cristianità. Alcuni studiosi amano identificarla con Silvia, originaria della Gallia, parente del ministro dell’imperatore Teodosio I, Flavio Rufino. Altri studiosi credono che sia invece la stessa pellegrina Egeria, menzionata in una lettera da Valerio, un monaco dell’Alto Medioevo. Egeria avrebbe dunque scritto le proprie osservazioni in una lettera, nota con il nome Itinerarium Egeriae, o anche Peregrinatio Aetheriae, cioè Pellegrinaggio di Eteria o anche Peregrinatio ad Loca Sancta, ossia Pellegrinaggio in luoghi santi. Dell’opera itineraria, acefala e mutila, è rimasta solo la parte centrale, copiata nel Codex Aretinus, scritto a Montecassino nel sec. XI. Il codice fu rinvenuto nel 1884 da Gian Francesco Gamurrini, che scoprì il manoscritto in una biblioteca monastica di Arezzo. Cfr. Arce (a cura di), Itinerario; Giannarelli (a cura di), Diario; Journal; Natalucci (a cura di), Pellegrinaggio; Siniscalco-Scarampi (a cura di), Pellegrinaggio.
[47] Cfr. Levitico 12,2-4 (usanza ebraica); Ovidio, Fasti, 2, 19-24 e 31-32 ss. (usanza romana della februatio).
[48] Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[49] Cfr. Del Ponte, La religione; Dumézil, La religione; Quilici, Roma.
[50] Figlia di Urano e Gea, moglie di Saturno (per i Greci Crono) è una divinità asiatica (Lidia, Frigia), della natura selvaggia e montuosa (Magna Mater) identificata dai Greci con Rea. Si muoveva su un carro, trainato da leoni e pantere e con il seguito dei coribanti. Nella mitologia cretese Rea era una divinità femminile simbolo della terra madre. Invece per Esiodo Rea era la moglie di Crono, chi aveva dato sei figli: Ade, Demetra, Era, Estia, Poseidone e Zeus. Per quEsto, cioè per avere generato le più importanti divinità dell’Olimpo, fu dettala Grande Madre degli dei e i suoi sacerdoti, detti Cureti o Coribandi, avevano allevato Zeus nell’isola di Creta, coprendone i vagiti con i suoi cembali, perché non lo udisse il padre Saturno e non lo divorasse come gli altri figli.


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